Figli del dolore

In edizioni successive ho incontrato tre figli di vittime della violenza politica degli anni ’70 e ’80.
Mario Calabresi, figlio di Luigi, commissario assassinato nel 1972, Umberto Ambrosoli, figlio di Giorgio, avvocato assassinato nel 1979 e quest’anno Benedetta Tobagi, figlia di Walter, giornalista assassinato nel 1980.

E’ stato l’incontro forse più emozionante di quest’anno, un incontro lungo, più di due ore, ma che più si dilatava sulla scala del tempo più sembrava stretto a contenere l’interiorità di Benedetta.
Condotto da Corrado Stajano, giornalista, scrittore, ex Senatore della Repubblica finito per sbaglio in un posto, il Palazzo, in cui non era né voluto né benvoluto, autore di “Un eroe borghese”, il libro che narra la vita e la morte di Giorgio Ambrosoli, da cui fu tratto il film di Michele Placido e che mi ha spinto a scavare e a riflettere su queste assurde azioni di violenza.

I due sono accordatissimi, come se prima dell’incontro sentimenti e coscienze siano stati messi in risonanza dal diapason del ricordo e del voler conoscere il perchè, come se un paziente addetto alla pulizia dell’anima abbia ripulito tutta la polvere che prova a cancellare i ricordi, le colpe, le parole.

La vita di Benedetta non è stata facile: a tre anni ti uccidono il padre e tu vai alla scuola materna con una grande cosa da raccontare, appunto l’omicidio di un padre, un padre che a tre anni non hai ancora conosciuto, un grande padre che ti viene negato da violenza che non puoi capire, a tre anni si gioca con il padre, a tre anni quell’uomo è il tuo papà, come ancora oggi dice Umberto Ambrosoli.
Ma si deve crescere, e crescendo sbatti contro gli spigoli della coscienza, giri per strada e i cartelloni pubblicitari invece di offrirti orologi e bei vestiti ti chiedono perchè, e tu ti chiedi perchè non devo sapere, e quei perchè sono la ricerca di un padre che non hai mai avuto. E allora studi, leggi, ti fai permeare di libri, percorri la tua vita, e un giorni decidi che è ora di reimpossesarti di tuo padre.
Un padre meticoloso, che ti ha lasciato armadi pieni di meticoloso lavoro, faldoni ordinati e appunti commentati, cassette per arcaici registratori (magnetofoni, nella preistoria).
E Benedetta studia tutto, e non gli basta, va negli archivi e si studia tutto il materiale di un lungo e difficile processo, quello agli assassini di suo padre, studia e indaga sui depistaggi, sulle relazioni con i palazzi della politica (politica con la “p” minuscola, non la Politica, strumento elevato di governo della gente), del fango sparso dalla P2.
Benedetta ha fatto il suo cammino, ha fatto il suo lavoro, dal lavoro è nato un libro “Come mi batte forte il tuo cuore” in cui essa si rimpossessa del padre.

Il dialogo tra Corrado e Benedetta è vibrante, alternativamente i due riescono a suscitare commozione, Stajano viene da una lunga carriera di scrittore che guarda sotto il pelo dell’acqua torbida dell’animo umano, il suo ultimo libro “La città degli untori” analizza la Milano cattiva, quella che come la peste di Camus ogni tanto riemerge.

La sala è attenta e partecipe, c’è forte tensione, ma tensione partecipativa, tensione positiva, è come l’ultima nuvola nera alla fine del temporale, sai che tra breve arriveranno i colori dell’arcobaleno.

Le due ultime considerazioni.

La prima è il bellissimo sorriso di Benedetta, che non sparisce mai dal suo volto, neanche nei momenti più tristi del racconto.

La seconda, collegata a questa, è la sensazione comune che ho avuto incontrando Calabresi, Ambrosoli e Tobagi: tutti e tre hanno perso il padre, ma tutti hanno investito e convertito la loro esperienza devastante in crescita personale, forse i loro padri li assistono ancora, forse i loro padri proseguono la loro vita di eroi borghesi in loro.
In loro non vedi odio, vedi tanta serenità.
E allora non siamo persi, esiste ancora la speranza, come diceva Umberto Ambrosoli, la mano di un uomo non può fermare un treno, ma centinaia e migliaia di mani si. E ognuno di noi può mettere la propria.

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Mi hanno fatto notare che nell’altra foto non sorrideva …

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