Sono d’accordo con l’Aretino

“Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori, le cortesie, l’audaci imprese io canto”

Tra le avventure amorose di Zeus, celebrate con sotterfugi e metamorfosi, quella che ha prodotto gli effetti più devastanti in arte è sicuramente Leda e il cigno, esclusa forse la Danae di Klimt.

Ad iniziare da Leonardo, con la sua opera persa o mai realizzata, che lasciata intuire da copie e dai preparatori ci parla di un canto rituale, di una danza iniziatica, di azione e reazione tra curve che si avvicinano e si lasciano, che materializzano l’essenza dell’unione carnale, l’alternanza tra pieno e vuoto, il ritmo di spazi da creare e annichilire. Leda e il cigno è un gioco di curve.

E anche Michelangelo Buonarroti è con le curve che attrae l’attenzione del Duca Alfonso d’Este. Spesso in visita a Roma per ragion di stato, Alfonso resta stupito dalle curve plastiche e audaci che il fiorentino sta tracciando sulle volte della Sistina, quei corpi tutta tensione e sensualità che mai si erano visti prima, men che meno sulle mura di una cappella papale. E’ la carne primordiale, la carne dell’uomo appena creato, carne che è più materia che pensiero.

Questa carne fa si che Alfonso commissioni un’opera a Michelangelo per il suo studiolo, appunto una tela sugli amori di Zeus. Michelangelo esprime tutta la sua sensualità, riduce le distanze di Leonardo e rende la carne l’unica vera protagonista della tela, una carne accogliente, avvolgente che il cigno brama e cinge con evidente trasporto. Un’opera di evidente tensione erotica. Tanto che porterà l’Aretino a dire “non si può non invidiare il cigno”.

Forse troppa erotica, perché l’opera di Michelangelo non esiste più, forse distrutta per ragioni moralistiche, o forse nascosta per lo stesso motivo e lasciata marcire nell’oblio. A Ferrara in mostra vi è forse la più bella copia esistente, probabilmente cinquecentesca. Ma neanche il committente, Alfonso, la vide mai. Un giudizio incauto indispettì Michelangelo e la tela non giunse mai a Ferrara.

In Ariosto, nel Furioso, spesso la descrizione della donna è viva e sensuale, e allora è facile immaginare che il poema che canta il mondo della cavalleria cortese abbia spianato la strada alla donna di carne al posto di quella ideale dei tornei dei Paladini, cambiando anche il gusto estetico in arte e rendendo necessaria una Leda sulla parete della studio del Duca. Non è un caso se nella cugina Mantova Giulio Romano negli stessi anni sta riempiendo di carne fremente le pareti della stanza di Amore e Psiche a Palazzo Te, con l’apoteosi del rapporto tra Olimpiade e Zeus, una delle più espliciti dell’arte rinascimentale.

Sono d’accordo con l’Aretino

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