Andromeda e Medusa: Damien Hirst a Venezia

Della mostra “Treasures from the Wreck of the Unbelievable” , realizzata da Damien Hirst per la Fondazione Pinault nelle due sedi di Venezia, Punta della Dogana e Palazzo Grassi, molto è già stato scritto, molto verrà scritto, blog che ne parlano spuntano come i funghi dopo la pioggia autunnale nel sottobosco appenninico.

Allora anch’io voglio deliziarvi del mio parere.

Sarebbe banale parlare dei soliti temi legati all’artista britannico di Bristol, massimo esponente del YBAs: dello svuotamento dell’opera dell’artista, mero progettista e non più esecutore, dell’eccesiva attenzione al particolarismo estetico, quasi debordante in un barocchismo kitsch, dell’arte come mero prodotto destinato alla vendita finale, quindi come vettore economico e non come linguaggio espressivo, del gigantismo di alcune opere che nasconde la scarsità di contenuto intellettuale, di un pop(oular) mascherato da pensiero colto e snob.

Ci sta, ci sta tutto, ci sta tutto perché nel lavoro di Hirst e in questo lavoro in particolare c’è un immenso spazio per farci stare di tutto, ci sono infiniti livello di intervento e di pensiero in cui ognuno può certamente trovare il proprio e riconoscersi. Un po’ come i gloriosi disegnatori della Disney dei film epici, Hirst fissa le proprie idee su sottili fogli acrilici e trasparenti che poi sovrappone e combina per realizzare la propria idea complessiva, e sta a noi prendere la pellicola con cui siamo d’accordo e in sintonia,  e renderla la nostra personale visione dell’opera veneziana.

Prendo in considerazione la titanica “Andromeda and the Sea Monster”, bronzo dipinto in blu (o vile plastica? Ecco un altro gioco che viene stimolato dall’esposizione). La scena rappresenta Andromeda legata alla roccia sulla costa del Mediterraneo, davanti all’attuale Tel Aviv, in attesa di essere divorata dal mostro, prima dell’intervento risolutivo di Perseo che la salverà dalle fauci della creatura.

Andromeda in Venice
Andromeda and The Sea Monster

Il contesto è quello mitologico classico, reso vivo e drammatico dall’imponenza titanica dell’opera, lunga quasi sei metri e alta più di tre. Poi guardando l’opera con più attenzione cominciano ad emergere le varianti Hirst. Il mostro non è uno, ma un insieme di esseri oceanici che si scaglia contro la povera fanciulla. E su tutti il protagonista assoluto rimane lo squalo, il filo conduttore dell’opera di Hirst da” Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living”, lo squalo tigre in formaldeide che contribuì a renderlo famoso nel mondo divenendo una delle sue realizzazioni più note. Quindi è lo squalo che dilata le sue enormi mascelle per attaccare Andromeda, facendo nascere sul suo volto il terrore.

E il terrore strazia e sfigura il volto di Andromeda, rendendolo avulso dal contesto del suo tornito, slanciato e bellissimo corpo di giovane donna evidentemente dei nostri giorni, un corpo tornito da ore e ore di palestra.

Andromeda body

Il volto viene smontato e trasformato in un unico urlo di dolore, ancora più straziato e deformato del famoso “Urlo” di Munch, un dolore che solo la morte imminente, ed una morte terribile e violenta può stampare su di un volto umano.

Sea Monster Pain Terror

Quel dolore che straziò i lineamenti di Medusa, la Gorgone che Perseo decapitò e la cui testa irta di rettili al posto dei capelli aveva il terribile potere di pietrificare chi fissava lo sguardo nei suoi occhi.

Perseo aveva con sé la testa di Medusa quando uccide  il mostro e rende la libertà ad Andromeda, e Hirst lascia in giro per la mostra varie teste di Medusa, in materiale diverso, quasi a voler accumunare le due espressioni, quasi a stimolare la comparazione, quasi a ricordare che la vita dipende dalla morte, il tema della morte che lastrica il percorso artistico dall’artista britannico.

Snake of MedusaMedusa

Concludo con una comparazione veneziana: alla fondazione Guggenheim di Venezia sono esposte alcune opere di Duchamp, il quale alla domanda: perché le sue opere sono arte? rispose: perché le faccio io che sono un artista. Nel documentario sulla mostra di Venezia a Damien Hirst realizzato da Sky viene posta una domanda simile: Damien, cos’è l’arte, la sua risposta è: e io che cazzo ne so?

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