VII – Il Topo cambiato in Ragazza – Jean de La Fontaine

Un Bramino, che vide un topolino cader dall’ugne di un grifagno augello, lo raccolse pietoso. Io lo confesso
l’avrei lasciato stare, ma forse il mondo è bello, perché non è dappertutto lo stesso. In quei paesi là si prova, per esempio, verso i topi quel sentimento quasi di pietà, che si sente da noi per un fratello. Credon che, morto un re, sen vada l’anima in qualche scarafaggio o in altra bestia che più piaccia alla sorte, donde trasse Pitagora la pia leggenda della sua filosofia. Convinto in quest’idea volle il Bramino che un mago gli trovasse un incantesimo che sapesse mandar l’anima sciolta del topolino in quel corpo medesimo, che aveva posseduto un’altra volta. E il mago, flicche e flocche, ecco tosto cavarmi una donzella di quindici anni, sì graziosa e bella, che certo ancor avria per lei commesso più d’una pazzia quel figliuolo di Priamo, che molto fece parlar la gente per causa d’un bel volto. A tal vista il Bramino fuor di sé: – Amor, comanda, apri la bocca, chiedi, scegli, gioiel grazioso, e forse al mondo c’è chi non ambisca d’essere tuo sposo? – Poiché tu lo concedi, – disse la bella, – io scelgo il più potente -. Il Bramino si prostra riverente e: – O Sol, – esclama, – o re della Natura, fa’ ch’io t’abbracci, o genero lucente. – No, – disse il Sol, – è più potente ancora codesto Nugolone, che mi toglie colei che m’innamora.  – O Nugolone, o prediletto amante! – grida il Bramino al nugolo vagante. – No, – disse il Nugolon, – su me comanda il Vento che mi spinge in ogni banda. – O Vento, o immenso Borea, poiché potente sei, mentre che passi vola in grembo a lei -. Accorre il Vento e presto se ne lagna, ché incontra sulla strada una Montagna. E il monte alla proposta questa rimbalza subita risposta: – Se questa bella io sposo, d’offender temo il topolin geloso, un animal potente che mi potrebbe traforar col dente – . A sentir chiamare il topo si riscosse la donzella, e la bella poco dopo per suo sposo lo pigliò. Voi gridate: – Un topo? oibò! – Fa l’amore, sissignori, questi scherzi traditori. L’acqua sente del monte onde deriva, vuol dimostrar la favola, ma forse co’ sofismi arzigogola sul tema. Certo uno sposo assai miglior del Sole è facile trovar, ma similmente da una pulce dirai vinto un gigante perché morso da lei? Su questo passo vinto è il Topo dal Gatto, e vinto il Gatto dal Cane, e il Can dal Lupo, e via di corsa avria potuto il favolista antico per questo immenso circolo salire ancora al Sole e renderlo marito. Poiché ci siamo,  ragioniam di questa strana dottrina che Metempsicòsi chiamano i dotti. Il mio Bramin vi pare ch’abbia provato il trasmigrar dell’anima col suo strano incantesimo? Non credo, e in lui ritorco l’argomento istesso.
Questa dottrina vuol che l’Uomo e il Topo e il Can e il Gatto attingano la vita a una fonte comune; or  dunque eguale è l’onda di codesta umana vita. Sol che, operando in varie membra, in alto l’uno si eleva col valor dell’ali e l’altro sibilando in terra striscia. Tutto pesato e bilanciato, io dico che l’anima dei topi e delle belle son diverse fra lor. Ognun riviene a quel destin che sta scolpito in cielo, e non val Belzebù, magìa non vale che possa al tuo destin torcere il corso.

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