I due pappagalli, il re e suo figlio – Jean de La Fontaine

Due Pappagalli, padre e figlio, a tavola ogni giorno sedevano d’un Re, e figlio e padre, i principi, li amavano
d’un amore che al mondo ugual non c’è. I due padri legati in amicizia vecchia si compiacevan di veder i figli, che malgrado l’età frivola, vivevan sempre insieme con piacer. Nutriti insieme, a scuola insieme andavano,
e per l’uccel non era un poco onor avere per compagno un tanto principe figliuolo d’un cotanto imperator. Il ragazzin per natural suo spirito amava gli uccelletti, ed un gentil passerino formava la delizia del suo  divertimento giovanil. Per gelosia tra il Pappagallo e il passero una seria tenzone un dì scoppiò, e picchia e becca, il meschinel più debole ad ingrassar la terra presto andò. Onde adirato e per vendetta il Principe il Pappagallo uccise: un gran rumor si sparse per la reggia, infin che il vecchio Pappagallo anche lui n’ebbe sentor. Chi mi sa dir le strida orrende e i gemiti onde il povero padre invoca il ciel? Ma invano ei piange; in fondo a Stige il giovine già navigava al suo destin crudel. Ma tanto infonde nel paterno spirito odio e furor, che il vecchio, colto il dì, salta agli occhi e pich pach accieca il Principe col becco… e sopra un albero fuggì. Per suo rifugio scelse un pino altissimo, dove accanto agli dèi l’aspro sapor gustò della vendetta, ove del principe padre non può raggiungerlo il furor. Per attirarlo, con mansuetudine. – Amico, vieni, – gli favella il Re, – dimentichiam, che ormai non vale il piangere ed io non sono in collera con te. Per quanto fitta in cor senta l’ingiuria,  è il figlio mio che il tuo forse assalì, ahimè! forse è il destin inesorabile che il fatto nel suo  libro stabilì.  Era scritto che l’un la vita perdere dovesse e l’altro il pio raggio del sol. Torna, amico, ritorna entro la gabbia, l’un l’altro confortiamoci nel duol -. E il vecchio Pappagallo a lui: – Mio principe, – rispose, – dopo quel che capitò, a queste belle ciarle potria credere un pazzo forse, un pappagallo no. O sia destin, o sia, come dimostrano, provvidenza, che tiene il mondo in man, è scritto ch’io finisca i giorni miseri su questo pino o forse più lontan  in qualche selva ignota e solitaria ove non vegga quell’oggetto più, che a te d’odio sarà stimol continuo, e a me cagion di tanto duol già fu. Io so che la vendetta è nel carattere lassù dei numi ed è quaggiù dei re, che vivono da numi, e s’anche credere volessi e riposar sulla tua fe’, non che tornar, starò meno in pericolo lontan dagli occhi tuoi, dalla tua man. Come contro all’amore, è un gran rimedio anche per l’odio starsene lontan. 

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