II – Il Gatto e i due Passeri – Jean de La Fontaine

(Al signor duca di Borgogna)

Fin dalla prima infanzia un Gatto e un Passerino all’ombra degli stessi Dèi penati vivean, l’un nella gabbia,
e in un canestro l’altro a lui vicino. Le mie due care bestie facean spesse baruffe col becco l’una e l’altra colla morbida zampa. Non eran zuffe tremende, no, che il tenero gattino non armava d’artigli lo zampino.
Spesso con colpo secco il Passero col becco dai ferri gli rispose, ma il Gatto compativalo. Tra vecchi amici è sempre buono ed utile non inasprir le cose. Eran cresciuti insieme in lunga consuetudine, e più che in lotte estreme finian le lotte in giochi ed in facezie. Un giorno arriva a un tratto un Passero a trovar il Passerino, e ruppe l’armonia che il giusto Gatto avea col suo vicino. Mi spiego. Tra i due passeri seguia ben presto una discordia: e Mangiatopi disse: – In fede mia, ad insultar costui vien l’amicizia. Non voglio che un estraneo
venga a strozzar il mio vecchio vicino. No, pei gatti immortali! – e frammischiatosi, fece del tristo uccello un bocconcino. Ma intanto ch’ei rosicchia il forestiero uccello, – Perbacco! – dice in cor, – un fegatello scommetto che non è di questi passeri più molle ed eccellente -. E questa riflession naturalmente indusse il Gatto scaltro a rosicchiar in pace anche quell’altro. Qual morale si può da questo fatto tirar, lettori miei? Senza morale la favola è un boccone senza sale. Non è difficil spremerne l’estratto, ma non vorrei sbagliare.
A voi lascio, Signor, l’indovinare. Son giochi adatti al vostro genio; è stanca la Musa e quello spirito le manca
che brilla in voi, Signore; con lei son stanche tutte l’altre suore.

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