La pala di San Giorgio nella parrocchiale di Castellucchio

In occasione del prossimo restauro della Pala rappresentate il patrono della Parrocchiale di Castellucchio di Felice Campi, Don Marco Bighi, che ringrazio, mi ha chiesto di scrivere alcune note riguardo la pala stessa.

Questo il testo integrale.

Note Storiche biografiche

Dell’autore della pala, Felice Campi, riporto le note recuperate sul sito della Treccani:

Pittore, figlio di Agostino e di Anna Varese, nato a Mantova nel 1746, fu discepolo del Bazzani, e durante la sua giovinezza si esercitò a Venezia sugli esempi della tradizione lagunare cinquecentesca. Nell’ambito dell’Accademia mantovana di Belle Arti, fondata nel 1752, ebbe notevoli riconoscimenti: il 16 giugno 1765 gli veniva conferita una medaglia d’oro per un disegno di Giuditta che taglia la testa di Oloferne.

Divenne vicedirettore dell’Accademia nel 1784. Dal 1811 al 1817 ricoprì la cattedra di disegno presso il regio liceo. Morì a Mantova il 6 maggio 1817. Assai ampia fu la sua attività di restauratore: nel 1779-80 collabora al restauro della galleria degli specchi, nel palazzo ducale di Mantova; nel 1783, nella camera dei Cesari del palazzo del Te, ridipinge un fregio di putti. Nei primi anni del XIX sec. è impegnato in opere di restauro ai dipinti della cattedrale di Mantova: nel catino absidale rinfresca i dipinti del Fetti; nel 1804 i dipinti dell’Andreasi nella cupola; nel 1808 gli affreschi del transetto. Diede inoltre il disegno per il fregio di putti, modellati da Vittorio Bernero, che corre lungo la navata della cattedrale. 

Emerge da queste note che il Campi, pittore mantovanissimo, non era uno dei maestri che lasciano la propria impronta nella storia, e magari la fanno, ma era un ottimo professionista che ha contribuito in maniera fondamentale nella conservazione del patrimonio culturale del nostro territorio. In un libro bellissimo anche solo per il titolo: “Il fioretto delle cronache di Mantova raccolto da Stefano Gionta notabilmente accresciuto e continuato sino all’anno MDCCCXLIV per cura di Antonio Mainardi. Edizione ornata di ventiquattro delle principali vedute della città – Mantova, coi tipi dei fratelli Negretti, 1844” al Campi viene attribuita nel 1783 la realizzazione delle opere di completamento dell’Appartamento degli Arazzi raffaelleschi in Palazzo Ducale.

Passiamo ora al nostro Patrono.

Agiografia di San Giorgio

In mancanza di notizie biografiche certe su san Giorgio, le principali informazioni provengono dalla Passio sancti Georgii, che però già il Decretum Gelasianum del 496 classificava tra le opere apocrife. Secondo questa fonte, Giorgio era originario della Cappadocia (regione dell’odierna Turchia), figlio di Geronzio, persiano, e Policromia, cappadoce, nato verso l’anno 280. I genitori lo educarono alla religione cristiana. Trasferitosi in Palestina, si arruolò nell’esercito dell’imperatore Diocleziano, comportandosi da valoroso soldato, fino al punto di giungere a far parte della guardia del corpo dello stesso Diocleziano, divenendo ufficiale delle milizie e forse suo successore.

Il martirio sarebbe avvenuto sotto Diocleziano stesso (che però in molte versioni è sostituito da Daciano, imperatore dei Persiani), il quale avrebbe convocato settantadue re per decidere quali misure prendere contro i cristiani per sterminarli.

Giorgio donò ai poveri tutti i suoi averi e, davanti alla corte, si confessò cristiano; all’invito dell’imperatore di sacrificare agli dei, si rifiutò: secondo la leggenda, venne battuto, sospeso, lacerato e gettato in carcere, dove ebbe una visione di Dio che gli predisse sei anni di tormenti, tre volte la morte e tre la resurrezione.

Tagliato in due con una ruota piena di chiodi e spade, Giorgio resuscitò, operando la conversione del magister militum Anatolio con tutti i suoi soldati, che vennero uccisi a fil di spada; entrò in un tempio pagano e con un soffio abbatté gli idoli di pietra; convertì l’imperatrice Alessandra, che venne martirizzata.

A richiesta del re Tranquillino, Giorgio risuscitò due persone morte da quattrocentosessant’anni, le battezzò e le fece sparire. L’imperatore Diocleziano lo condannò nuovamente a morte e il santo, prima di essere decapitato, implorò Dio che l’imperatore e i settantadue re fossero inceneriti; esaudita la sua preghiera, Giorgio si lasciò decapitare, promettendo protezione a chi avesse onorato le sue reliquie, le quali sono conservate in una cripta sotto la chiesa cristiana (di rito greco-ortodosso) a Lydda, in Palestina).

Leggenda Aurea

La storia che ha ispirato la composizione della nostra pala è tratta dalla Leggenda Aurea, la raccolta medievale di vite di santi (agiografie) composta in latino da Jacopo da Varazze (o da Varagine), frate domenicano e vescovo di Genova.

Si narra che in una città chiamata Silena, in Libia, vi fosse un grande stagno, tale da poter nascondere un drago, che, avvicinandosi alla città, uccideva con il fiato tutte le persone che incontrava. Gli abitanti gli offrivano per placarlo due pecore al giorno ma, quando queste cominciarono a scarseggiare, furono costretti a offrirgli una pecora e un giovane tirato a sorte. Un giorno fu estratta la giovane figlia del re. Il re, terrorizzato, offrì il suo patrimonio e metà del regno per salvarle la vita, ma la popolazione si ribellò, avendo visto morire tanti suoi figli. Dopo otto giorni di tentativi, il re alla fine dovette cedere e la giovane si avviò verso il lago per essere offerta al drago.

In quel momento passò di lì il giovane cavaliere Giorgio, il quale, saputo dell’imminente sacrificio, tranquillizzò la principessa, promettendole il suo intervento per evitarle la brutale morte. Poi disse alla principessa di non aver timore, che l’avrebbe aiutata nel nome di Cristo.

Quando il drago si avvicinò, Giorgio salì a cavallo e protettosi con la croce e raccomandandosi al Signore, con grande audacia affrontò il drago che gli veniva incontro, ferendolo gravemente con la lancia e lo gettò a terra, disse quindi alla ragazza di avvolgere la sua cintura al collo del drago, il quale prese a seguirla docilmente verso la città. Gli abitanti erano atterriti nel vedere il drago avvicinarsi, ma Giorgio li tranquillizzò, dicendo loro di non aver timore poiché «Iddio mi ha mandato a voi per liberarvi dal drago: se abbraccerete la fede in Cristo, riceverete il battesimo e io ucciderò il mostro». Allora il re e la popolazione si convertirono e il cavaliere uccise il drago e lo fece portare fuori dalla città, trascinato da quattro paia di buoi.

È invocato contro le malattie della pelle, peste e malattie veneree, protettore di alabardieri, fabbricanti d’armi, cavalieri, cavalli, militari, scout, lebbrosi, martiri dell’Inghilterra.

San Giorgio è patrono dell’Inghilterra, del Portogallo, della Lituania, del Montenegro, della Georgia, della Catalogna e dell’Etiopia.

Molto venerato è sempre stato molto richiesto come soggetto artistico per la devozione, e sempre ispirandosi alla Leggenda Aurea.

Importanza artistica del Soggetto

Opere di importanza fondamentali nella storia dell’arte sono il San Giorgio e il Drago di Pisanello nella chiesa di Sant’Anastasia a Verona e lo stesso tema dipinto da Mantegna (attualmente alle Gallerie dell’Accademia a Venezia) prima della partenza da Padova o nei primi anni mantovani, per restare vicino a noi.

San Giorgio e la Principessa – Chiesa di Sant’Anastasia, Verona
San Giorgio di Andrea Mantegna, Galleria dell’Accademia, Venezia

Veniamo al nostro quadro.

Analisi dell’opera

Osserviamo prima la geometria da cui è partito Campi per organizzare il soggetto:

Appaiono evidenti due guide diagonali individuate dalla lancia del soldato e dalla posizione dell’angelo e degli oggetti (velo e palma del martirio), che indicano che la forza del colpo risolutivo sferrato da San Giorgio deriva dalla rettitudine della sua Fede che dal cielo arriva al suo braccio impegnato in un’azione di giustizia, il salvataggio della principessa.

Analizziamo ora i dettagli della Pala.

Al centro San Giorgio, soldato romano, indossa un’armatura tipicamente romana, ma con uno strano elmo circondato sulla sommità da piume che ha rimandi più ottocenteschi che romani antichi (operazione non rara nella storia dell’arte quella di mescolare antico e moderno). Monta un cavallo poderoso, impennato, quasi pronto a schiacciare il drago sotto di lui per andare in soccorso al suo cavaliere. Tutto il gruppo è molto dinamico, la torsione del corpo del cavaliere fa coppia con quella del collo del cavallo, caricando di ulteriore forza il colpo che è stato sferrato.

Sul lato destro dell’opera troviamo la principessa, intimorita forse più dalla prospettiva del sacrificio che dalla bestia stessa, è vestita da un bianco abito virginale che riecheggia quello delle matrone romane, ed ha un velo sottile sopra gli occhi. Il significato di questo velo potrebbe essere quello di isolarla da male, o comunque nasconderlo. L’isolamento visivo diviene simbolo di introspezione spirituale, preservando quindi l’innocenza e l’impedimento della visione del male rinvigorisce la fede già forte all’interno dell’anima.

Alla base della tela c’è il drago, sottomesso e ferito, simbolo del male, male che prima di essere soppresso la narrazione la Leggenda ci dice che verrà portato in giro per mostrare che il Bene sconfigge il Male, quasi con lo stesso significato del sepolcro con la pietra rotolato della Pasqua, simbolo visibile della sconfitta della Morte e del Peccato. Il povero drago nell’antichità simbolo del Male, probabilmente trae origine dagli antichi ritrovamenti degli scheletri dei dinosauri e dalla paura nei confronti di alcuni animali, come il coccodrillo del Santuario delle Grazie.

Nella parte alta della Pala gli angeli appaiono dal cielo per fornire la forza a Giorgio, ma anche ad anticipare la sua elevazione agli altari, portando la corona-aureola della santità e anticipando anche la sua fine, con la presenza della palma simbolo del martirio.

Gli angeli forniscono anche la luce divina al quadro, i cui raggi sono visibili in alto a sinistra, mentre la luce naturale entra nella scena da sinistra e modella tutte le ombre.

Infine, sulla sinistra è presente un tempietto a piante centrale circolare, tipico modello bramantesco.

Queste strutture derivano dai tempietti romani, cosiddetti “a Tholos” con la stessa geometria.

Ma è appunto con la ripresa della struttura e della sua elaborazione da parte di Bramante nella chiesa di San Pietro in Montorio a Roma, sul Gianicolo, che questa diviene parte fondamentale dei manuali di architettura.

Esistono diverse strutture di questo tipo, come quello di Bramante, ad esempio il tempietto del Valadier a Genga (AN), nei pressi delle grotte di Frasassi.

San Pietro in Montorio, Roma
Eremo di Santa Maria Infra Saxa, Genga, Ancona

Non è univoco l’utilizzo di questa struttura nell’arte. Per fare due esempi maestro – allievo, Perugino dipinge una struttura simile nella Consegna delle chiavi a Pietro in Cappella Sistina, e poi Raffaello lo inserirà come elemento centrale nel famoso Sposalizio della Vergine di Brera (MI).

Perugino – Consegna delle Chiavi a San Pietro, Cappella Sistina
Raffaello, Lo sposalizio della Vergine, Brera, Milano

La struttura può rappresentare l’antichità classica, quindi Roma antica, come suggerisce anche la statua poco visibile nell’edicola sotto il porticato, con evidente valenza di collocazione temporale. 

Per finire, Felice Campi realizza una composizione originale o si ispira ad un opere del passato? Per rispondere a questa domanda, e per una mia curiosità riguardo il cavallo che mi ricordava qualcosa di già visto, ho svolto una piccola ricerca, e trovo che ci siano diverse affinità tra la nostra pala e un dipinto con soggetto analogo realizzato da un giovane Peter Paul Rubens in età giovanile ed attualmente al Prado di Madrid.

P.P. Rubens, San Giorgio e il Drago, Museo del Prado, Madrid

Non voglio dire che Campi copiò il Rubes, ma che si ispirò per la costruzione della parte centrale, le posizioni reciproche, la torsione di cavallo e cavaliere, il drago già ferito dalla lancia qui spezzata, l’elmo con le piume e, da ultimo, la presenza della principessa di cui viene sottolineata la verginità con la presenza di un agnello che sostituisce il velo.

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